Al Museo Sociale Danisinni. Gratuita, sino al 30 dicembre. La mostra aderisce alla Giornata del Contemporaneo
Dal 10 dicembre al 30 dicembre a Palermo, allo spazio espositivo del Museo Sociale Danisinni, la personale di Calogero Barba dal titolo ‘Libere Parole Impresse’, una selezione di opere su carta e bidimensionali, opere box con libri d’artista, realizzate durante la pandemia ed esposte per la prima volta. In mostra il dialogo tra l’elemento antropico e quello naturale nell’era dell’Antropocene, dove l’uomo è ferita con il suo incontrovertibile impatto sul pianeta.
La mostra, a cura di Angela La Ciura, si compone di circa 20 opere selezionate tra quelle realizzate tra il 2020 e il 2021, che risentono di tutte le evoluzioni artistiche di Barba in oltre 40 anni di carriera; sperimentazioni che lo accostano alla pittura, alla scultura, alla poesia visiva, ai libri di artista, alla perfomance, alla video arte, in una continua e costante permeazione di tecniche e linguaggi differenti. La mostra visitabile gratuitamente sino al 30 dicembre, aderisce alla XVII Giornata del Contemporaneo, grande manifestazione promossa da AMACI – Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani.
Le scritture di Calogero Barba in mostra al Mu.S.Da. giocano sul campo geometrico del foglio bianco con morbidi valori tonali dati dall’incidenza della luce che si posa sui leggeri rilievi, quasi impercettibili, e sul negativo a secco dell’incavo creato dalle lettere impresse dai rulli calcografici. Le sue opere bidimensionali esplorano la plasticità della natura in assemblaggi polimaterici, “oggetti” della terra recuperati durante le sue “passeggiate siciliane”, come il carapace di una tartaruga che compone l’opera “Sotto sale” in cui la chiocciola, simbolo che Barba usa sin dagli anni ’80, assume un valore plastico che incontra la scrittura e la pittura, dove il recupero della memoria è affidato all’uso del sale prodotto naturale che l’uomo ha da sempre utilizzato per la conservazione, ma anche sistema premonetale nelle civiltà del baratto, elemento simbolico di questa isola di sale che è la Sicilia; o ancora “Verso l’Arca” una sorta di manifesto ecologico dell’artista dove la parola incontra e si innesta su pittografie zoomorfe tracciando attraversamenti e labirinti. «Favorito dall’appartenenza ad un territorio di interesse archeologico e di tradizione agreste-pastorale – scrive Angela La Ciura nel testo critico che accompagna la mostra – mosso da un’innata curiosità, Calogero Barba colleziona reperti con cui stabilisce un’affettuosa dialettica. Le vestigia di un lontano passato o gli umili resti di una economia povera, sottratti all’oblio, tra le sue abili mani, rivivono come per magia, in virtù della materia sapientemente manipolata e del pigmento, denso di allusive valenze simboliche».
Nella sua copiosa produzione, con personali e collettive sia nazionali che internazionali, l’elemento caratterizzante è il forte legame con la propria terra, la Sicilia, che dà vita a vere e proprie opere antropologiche, contemplazioni del presente dove la memoria diventa materiale stesso che fluisce nel manufatto artistico. Sottotesto è un pensiero critico sulla contemporaneità e le sue inquinate digressioni, attraverso cui Barba restituisce la dimensione dell’homo faber e della sua impronta antropica. Nella rivisitazione dell’oggetto estetico si intreccia, dunque, una forte riflessione critica e una denuncia sociale di matrice ambientale. L’arte dialoga con il pensiero ecologico, a cui Barba si accosta già dagli anni ’70, prendendo parte alle lotte studentesche e facendo proprie le riflessioni della poetica di Beuys, a cui nel 2021 ha dedicato la collettiva “Green Image Joseph Beuys 100, nel centenario della sua nascita. Allo spettatore sarà offerta la possibilità di immergersi nel flusso creativo dell’artista, partecipe di una restituzione fatta di sperimentazione materica, esplorazione storica ed antropologica, costruzione della memoria attraverso oggetti simulacri, post naturali, che diventano spazio ridefinito.
Calogero Barba cosciente del valore evocativo della scrittura creativa, dispone il suo suggestivo rapporto con le impressioni visive delle lettere “sottopressione” da cui scaturiscono i ritmi della forma per andare al di là del segno impresso sul bianco della carta. «Nel tempo della liquidità e del bla bla bla, dei social media diffusi ovunque, tutto è comunicazione, la parola perde di continuo il suo forte significato semantico. La libera scrittura impressa sulla carta interagisce con la dimensione del formato del foglio evidenziando il rapporto con lo spazio, il segno e la fragile materia della carta – racconta Barba –. Le libere scritture impresse, lontane dalle strutture grammaticali e dall’ordine del discorso lineare, sono disposte sul piano e impresse dal torchio calcografico assumendo il valore di una sosta visiva dello sguardo che non svela il silenzio della stessa storia», continua a spiegare l’artista che con questa mostra intende contribuire alle attività sociali e culturali a Danisinni e del Mu.S.Da. di cui è membro, ma anche un omaggio a questo piccolo rione che conserva la sua memoria agreste con i suoi orti, i coltivatori, il rapporto con gli animali, una dimensione fortemente umana e senza tempo in una città come Palermo che ha subito profonde ferite causate da un’urbanizzazione talvolta incontrollata e spropositata.
CALOGERO BARBA | BIO
Calogero Barba nasce a Mussomeli (CL) nel 1958. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Palermo. Attualmente è docente a contratto all’Accademia di Belle Arti di Agrigento, ha al suo attivo un ininterrotto percorso espositivo che si svolge dagli anni ottanta sino ai nostri giorni.
Decisivo, negli anni giovanili, l’ incontro con Francesco Carbone che ne orienterà la ricerca in senso antropologico. Con il critico siciliano collabora alla formazione del gruppo di Arte Antropologica Contemporanea. Fa parte della Scuola di Caltanissetta. Molte le mostre collettive e personali, fra gli anni ‘90 e duemila, in Italia e all’estero. Nel 1995, partecipa alla” Biennale Internazionale di Marsiglia”. Vanta due presenze alla Biennale di Venezia, alla 52a, nel 2007, con la partecipazione al progetto “Camera 312-Promemoria per Pierre”, curato da Ruggero Maggi, e, nel 2011, alla 54a, “Padiglione Italia”, a cura di Vittorio Sgarbi. Tra le committenze pubbliche da lui realizzate, ricordiamo, nel 2008, per conto dell’I.S.A. di San Cataldo “Memorie di Pietre”, parco di sculture in pietra di Sabucina.
Calogero Barba è anche un infaticabile organizzatore, nonché promotore di eventi culturali e mostre nel territorio nisseno e non solo. Molti i critici che si sono occupati di lui. Sue opere si trovano in prestigiose collezioni museali in Italia e nel mondo. Per quanto riguarda il Libro d’ Artista, se ne occupa da anni, sia come artista che come operatore culturale e curatore di mostre. Con la mostra itinerante “Vitamine” del 2015, espone al Museo del Novecento di Firenze e al MART di Rovereto. Nel 2017 con “BAU 14” espone alla GAMEC di Viareggio e allo spazio Sehsaal di Vienna. Nel 2019 è presente alla 5ª Biennale del Libro d’Artista di Napoli. Ha realizzato in Sicilia il primo evento di Net Art al Qal’At Artecontemporanea di Caltanissetta. Dirige l’Archivio di Comunicazione visiva e Libri d’Artista, da lui fondato. Nel 2018, partecipa alla mostra “Liber Fare” dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, e, presso la stessa Istituzione, nel 2019, partecipa alla mostra “Artsts’ Book”. Nel 2020 partecipa alla mostra BAU, Contenitore di cultura contemporanea 2004-2020, presso la CAMeC di La Spezia. Recentemente viene invitato all’evento “Artisti di Sicilia”, presso il Convitto delle Arti a Noto.
LIBERE PAROLE IMPRESSE | Testo critico di ANGELA LA CIURA
Non c’è corda delle arti che Calogero Barba non sappia far vibrare: con versatilità e perizia ha affrontato, in un percorso ormai quarantennale, tanto la scultura, suo campo elettivo per formazione, quanto la pittura, l’installazione, l’incisione e, in tempi a noi più vicini, il libro d’artista e la scrittura asemica, aprendosi anche alle nuove tecnologie e al digitale. Eppure, in questo mare magnum di creativa professionalità, attestata dalle personali e dalle numerose partecipazioni a mostre collettive, nazionali e internazionali, ad eventi e dibattiti, non è difficile riannodare i fili di una coerente poetica che trova il suo caposaldo nella ricerca antropologica supportata da una fantasmagorica sperimentazione di materiali e tecniche, davvero avvincente sul piano estetico ed emozionale. Favorito dall’appartenenza ad un territorio di interesse archeologico e di tradizione agreste-pastorale, mosso da un’innata curiosità, Calogero Barba colleziona reperti con cui stabilisce un’affettuosa dialettica. Le vestigia di un lontano passato o gli umili resti di una economia povera, sottratti all’oblio, tra le sue abili mani, rivivono come per magia, in virtù della materia sapientemente manipolata e del pigmento, denso di allusive valenze simboliche. Si compie la ri-semantizzazione dell’oggetto- trovato che, reinventato, si fa vettore di una ricerca di identità che travalica i confini dell’habitat originario in favore di una più ampia e condivisa autenticità. Si assiste ad un processo di nobilitazione da cui promana reverenzialità verso la storia, la natura e la fatica dell’uomo.
Ed è la memoria, storica e soggettiva, a dare avvio ad una sorta di viaggio a ritroso sino ai primordi dell’umanità, che lo porta a vagheggiare di miti e riti ancestrali, di origine matriarcale, evocati da allusive geometrie Natura e Storia, dunque, collocano Barba all’interno di un nuovo Umanesimo, non elitario, né centrico, esegeticamente riconducibile, sotto l’incalzare di un incerto futuro, a più veri umani principi. I materiali, allora, non possono che essere poveri: carta, plastica, ferro, chiodi, cartone, cartoncino, legno, fili, corda, spago e altro…, mentre i contenuti si addensano, quali icone concettuali, per accostamenti solo apparentemente incongrui, frutto di erudite contaminazioni. Così, accanto all’ impressionante bucranio compaiono rapporti aritmetici e figure geometriche e, ancora, il labirinto, figura emblematica e duale dell’andare e tornare, del perdersi e ritrovarsi, tutti simboli tratti dall’antica tradizione sapienzale, riconducibili alle leggi universali che regolano il cosmo e il destino dell’uomo. Poiché al labirinto si associano tutte le cavità, ecco comparire presenze zoomorfe, piuttosto insistite, quali la chiocciola e la tartaruga, depositarie di consolidate simbologie: il guscio elicoidale della prima e quello semisferico dell’altra, nell’evocare i misteriosi ricettacoli della continuità della vita, ne custodiscono il segreto. Pertanto, in un cammino di approfondimento non solo estetico, ma anche esistenziale e spirituale, risulta logico l’approdo di Barba al libro d’artista e alla scrittura asemica, nel solco di una conquistata essenzialità e di una rinnovata cultura umanistica.
Il Libro d’Artista, divenuto ormai un genere autonomo, un vero e proprio filone del contemporaneo, come dimostrano collezioni e rassegne e un ricco parterre di presenze e,ancora, il crescendo delle adesioni, ha, alle sue spalle, molteplici fonti di riferimento, dai manoscritti medievali ai frontespizi dei testi a stampa dei secoli successivi, sino alla poesia simbolista e visuale, per non parlare di dadaisti, futuristi, surrealisti, e di personalità del Novecento che ne hanno anticipato il corso, pensiamo a Paul Klee e ai nostri Arturo Martini e Bruno Munari, solo per fare qualche nome autorevole, nel numeroso drappello dei tanti che vi rientrano sul piano teorico e pratico. Unicuum irripetibile, il libro d’artista ha tante interpretazioni quanti sono i fruitori, in relazione alle loro conoscenze e al loro vissuto.
Quale oggetto d’arte, opera aperta, per le potenzialità linguistico-formali, materiali e tecniche, esso dispensa all’artista un’infinita libertà, finendo per assumere il valore di dono offerto alle nuove generazioni. Come in “Ex-voto”, opera facente parte della collezione permanente del Libro d’Artista dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, realizzata nel 2012. Si tratta di un volume in cera d’api, aperto, che si inscrive nella tradizione del libro-luce, di antonelliana reminiscenza, quindi luce di conoscenza e di civiltà. Accanto a San Gerolamo, non a caso, ci sovviene Sant’Agostino, per il quale l’intelletto è un atto di illuminazione. Tutti concetti che Calogero Barba affida alla materia traslucida e specchiante destinata ad essere consumata in sacrificio alla conoscenza. Con onestà intellettuale e intento morale, Barba porta avanti la sua riflessione sull’arte contemporanea e sulla sua arte, riflessione che postula una riformulazione del rapporto tra pensiero e linguaggio visivo.
Gli viene in soccorso la scrittura asemica, desemantizzata e perciò priva di significato, ma di certo non di senso, non lineare ma evocativa, come i caratteri cuneiformi dell’antica scrittura sumerica o i geroglifici egiziani. Allora le lettere alfabetiche che si affastellano in ordine sparso sulla pagina, suggerendo emozioni tattili e sonore, per poi ricomporsi in disciplinate orditure su un raffinato monocromo, bianco su bianco, possono, forse, simulare una conseguita leggerezza del pensiero, libero di ripartire per un nuovo viaggio. E quel filo di refe, appena percettibile tra colature di bleu fondo schiarentesi in ariosi azzurri, sospeso tra cielo e terra, pronto ad essere preso al volo da dita operose, non sarà l’ennesimo simbolo archetipico con cui Calogero Barba, nel ricondurci all’essenzialità, ci consegna e consegna all’arte la speranza?
Rossella Puccio